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Archive for the ‘vita da volontario’ Category

Da venerdì 7 marzo a mercoledì 30 aprile, al Bar Camaleonte (ex Bar Sport) di Melide (Piazza Domenico Fontana 11), saranno esposte alcune foto scattate da Simona Ponzone nella sua esperienza di volontariato per Inter-Agire in Nicaragua.

Sono foto che evocano molto … Nicaragua. Simona mi ha chiesto di scrivere le didascalie: ho lasciato che le immagini pescassero nei miei ricordi e … nella mostra troverete quindi questi due punti di vista che si intrecciano.
Locandina Vernissage

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il link vi porta alla registrazione dell’intevista andata in onda lunedì 1. ottobre alle 19:
http://www.radioticino.com/podcast_popup.asp?podcast=508016

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Seguendo il link http://www.rsi.ch/podcast/player/player.cfm?quanti=12&can=ReteTre/Check-in&tit=Check-in

o andando sul sito dei podcast di rete 3 http://www.rsi.ch/podcast/welcome.cfm?r=tre, cercando la trasmissione check-in (valigia bianca su sfondo rosso), fare “ascolta” e scegliere “Cooperazione 2”

potrete ascoltare un’intervista che mi è stata fatta e che è andata in onda venerdì 20 settembre.

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Traduzione in spagnolo del post “il giornale” pubblicato il 30 luglio 2013.

Pequeño cuento libremente inspirado a hechos y sensaciones realmente vividos.

El chele se lo leyó todo. Artículo por artículo. Luego, después de sacarle una hoja, empezó a reordenarlo, como a querer rebobinar el tiempo, y el viento, y regresar las hojas de papel a su estado inicial. Lo logró más o menos. Más menos que más.

De repente se da vuelta y me dice: “quiere leer?”. Tomo el periodico. No sé que hacer. Lo abro. Decido fingir leer. Casi inmediatamente me siento ridículo. Lo doblo. Lo doblo otra vez. Ahora tengo este rollo de papel entre mis manos. Me siento incomodo.

Si lo pongo aquí en frente, en la bolsa del asiento donde ya he dejado la lata de coca-cola el chele se va a ofender? Y … no será que el chele lo va a querer de vuelta? No … creo que no: ya he visto otras veces que después de leer los periodicos la gente solo los deja botados en el asiento o en el piso: evidentemente no tiene que ser tan importante lo que está escrito.

Que hago?? … Eso! Porque no lo he pensado antes!? Ahora se lo paso a la Yasira … ella sabe leer. Quizas le interese y luego se lo llevamos a mi abuelito.

Nada, no tiene que haber nada de interesante en esos periodicos: ella también lo dobla enseguida. O puede que sea un poco más complicado que leer los mensajitos que se envian sín parar con su novio, por la noche, cuando se aleja de la casa para ir en el solo punto de la finca donde hay señal. Y se queda allá hasta que es todo oscuro y mi mamá le grita que le va a pegar si no se regresa enseguida a la casa.

Ya estamos en Las Palomas. Desde que el Comandante nos hizo la carretera vamos más a menudo a San Carlos o a Juigalpa: cualquier excusa es buena para ir de paseo. Y las dos horas de camino que nos esperan bajados del bus me valen.

En media hora va a anochecer. Caminando como siempre jodo a mi hermana por todos esos mensajes que se envian con el novio. Seguro el tiene otras diez le digo. Ella se molesta. Quedamos sín hablar hasta la finca.

Cuando casi llegamos le robo el periodico de las manos, quiero ser yo el que se lo da a mi abuelito: sé que estará feliz del regalo. El tampoco sabe leer … pero le recuerda aquellos tiempos de la guerra, cuando no había papel higiénico y solucionaban con lo que encontraban.

Gracias me dice, antes de encaminarse a la letrina.

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Piccolo racconto liberamente ispirato a fatti e sensazioni realmente vissuti.

Il chele se lo lesse tutto. Articolo per articolo. Poi, dopo averne staccato una pagina, iniziò a rassettarlo, come a voler riavvolgere il tempo, e il vento, e riportare i fogli di carta come stavano all’inizio. Ce le fece molto più o meno.

Di sorpresa si volta e mi dice “vuole leggere”. Lo prendo. Non so che fare. Lo spiego parzialmente. Decido di far finta di leggere. Quasi subito mi sento ridicolo. Lo ripiego. Lo piego ancora. Ora ho sta specie di rotolo di carta che mi scotta fra le mani.

Se lo metto nella tasca del sedile insieme alla lattina bevuta il chele si offenderà? Ma poi chissà il chele lo rivorrà indietro? No … non credo: ho già visto altre volte come funziona: dopo che leggono li lasciano in giro, sui sedili, sul pavimento … Non dev’essere poi così importante quel che c’è scritto …

Che faccio?? … Idea!! Adesso glielo mollo a Yasira … lei sa leggere. Magari gli interessa pure, così poi glielo portiamo al nonno.

Non dev’essere per niente interessante. Anche lei l’ha ripiegato subito. O forse è più difficile da leggere che i messaggini che si mandano a ripetizione con il suo ragazzo quando la sera se ne va nell’unico punto della finca dove c’è segnale, e rimane finché fa buio, e la mamma deve minacciarla di passargliele per farla rientrare a casa.

Già siamo a Las Palomas. Da quando il Comandante c’ha fatto la strada ci andiamo più spesso a San Carlos o a Juigalpa, anche solo per fare un giro, qualsiasi scusa è buona. E queste due ore a piedi che mi aspettano non mi importano.

Scendiamo dal bus. Fra mezz’ora sarà buio.

Camminando come sempre prendo in giro mia sorella per tutti quei messaggini col ragazzo, che sicuramente ne ha altre dieci gli dico. Lei si arrabbia. Rimaniamo senza parlare fino alla finca.

Arrivati, gli strappo il giornale dalla mano. Glielo do al nonno. So che gli fa piacere. Neanche lui sa leggere .. ma gli ricorda i tempi della guerra, che quando non c’era carta igienica usavano quel che trovavano. Grazie, mi dice, prima di incamminarsi alla latrina.

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Da una decina di giorni sono in viaggio. Inzio quindi una serie di post con alcune considerazioni direttamente dalla mia fida moleskine … idee a volte grezze, che lasceró cosí un po’ perché le precarie condizioni di accesso a computer e internet del viaggio non permettono grandi tempi di riflessione davanti allo schermo, un po’ perché … mi sembra interessante che ognuno possa giungere alle sue conclusioni a partire da questi spunti. Iniziamo con Granada.

I turisti di Granada sono insopportabili. Il turismo di massa é da bandire. Falsa tutte le relazioni, cambia lo sviluppo naturale delle cittá.
I peggiori: gruppetti di turisti attempati, con short e/o cappellini bianchi che escono da hotel di lusso e salgono su bussini che li attendono con lo sportello aperto: veloci come marines che partono per un operativo a Bagdad …
Armati di macchine fotografiche, con obiettivi da invidia del pene a compensare chiare mancanze fisiche e/o psicologiche.
Senza rispetto di niente e soprattutto di nessuno, le puntano indiscriminatamente a caccia dello scatto piú suggestivo: magari, spesso, per fissare un attimo di povertá. Per chissá poi mostrarle fieri agli amici …
Ma anche gli altri, cosí bianchi, cosi avulsi dal naturale bordello nica … non so …
e gli dedicano cibi e prezzi. Frasi in inglese e tour speciali.

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senza chiavi

Sono rimasto senza chiavi. Né la sottile e allungata che mi permetteva di entrare in ufficio quando volevo, anche di sabato e domenica, magari per lunghe chiamate transoceaniche. Né la tozza e rifatta, con scritta “Boxer”, per aprire il lucchetto di casa. La sera, nel chiaro-scuro, piú scuro che chiaro, dei lampioni nicaraguensi, dovevo dare un classico colpo di polso per sparigliare le chiavi del mazzo e finalmente afferrarla per la punta. Tenendola cosí, a testa in giú qualche istante, quasi a punirla di essersi nascosta per qualche attimo fra le altre, fino a cercare a memoria con le mani il lucchetto opportunamente celato dietro una placca di metallo, teoricamente a prova di piede di porco. Non mi é rimasta la piccola e arrotondata del cassetto metallico dell’ufficio in cui ogni sera riponevo con cura il computer. Che non si sa mai. E nemmeno le due o tre delle varie porte della casa …

Niente. Nessun mazzo di chavi tintinna quando metto la mano nella tasca o mi disturba con qualche sua punta nella coscia quando mi siedo.

Sono rimasto senza chiavi. Senza casa, senza colleghi, senza amici, senza Matagalpa. Formalmente solo, praticamente con tutto ció nello zaino, a vagare per il mondo, in attesa di altre case altri colleghi altri amici altre matagalpe.

E’ finita la parte principale della mia missione. Si chiude un capitolo importante e bello della mia vita.

Ma non a chiave …

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Vicente forever

La routine di dicembre in ADDAC prevede le valutazione annuali: 6-7 giornate complete in cui, zona di intervento per zona di intervento, si analizzano successi e insuccessi, cose fatte e problemi irrisolti, a che punto siamo e quali sono le sfide, gli obiettivi per l’anno entrante. Un processo molto sano di discussione e dibattito, di critica ed auto-critica.

Dopo questa settimana ricca ed estenuante, alla quale partecipano tutti i tecnici, i promotori di credito e i responsabili di zona e della centrale, c’é l’ultimo giorno di lavoro in cui si svolge l’assemblea dei lavorati: tutti i dipendenti di ADDAC partecipano, quindi anche gli amministrativi, i comessi dello spaccio, gli autisti, la donna delle pulizie, le cuoche della mescita, i guardiani notturni.

La giornata prevede una parte istituzionale con aggiornamento generale sulla situazione dell’organizzazione e sui principali programmi che porta avanti, e una parte piú informale e conviviale con lo scambio di regali dell’amico segreto, cibo, musica e cotillons.

Per quanto riguarda l’amico segreto funziona cosí: un paio di settimane prima con un processo di estrazione casuale ognuno riceve il nome del collega al quale fará un regalo, il giorno dell’assemblea a turno si prende il microfono per dare qualche indizio su chi sia il proprio amico segreto, fino a che la platea non indovini. Sono normalmente momenti piuttosto divertenti in quanto gli indizi di regola si basano sugli sfottó storici (un classico: “il mio amico segreto é uno dei nuovi di ADDAC”, automaticamente si puó star sicuri che si tratta di qualcuno che ha minimo dieci anni nell’istituzione), o relativi a qualche fatto successo nell’anno (per esempio un tecnico qualche mese fa perse il controllo della moto mentre dava un passaggio alla contabile di una cooperativa, la povera ragazza nella caduta si ruppe un dente, di modo che l’indizio di chi doveva fare il regalo a questo tecnico é stato “il mio amico segreto quest’anno ha deciso di aprire una clinica dentaria”, dando spago ai vari soprannomi con cui il resto dei colleghi ha ribattezzato lo sfortunato tecnico da quel momento: il Dentista, il Dottor Sorriso, Valentino Rossi, eccetera …).

La parte conviviale ovviamente é accompagnata da qualche birretta, che col passare delle ore sciolge l’ambiente, la gente inizia a ballare o si lancia in improbabili karaoke. La festa dura tutto il pomeriggio, poi verso le sette é ora di tornare dalla finca La Canavalia (dove si svolge l’evento) a Matagalpa.

Il rientro é sempre piuttosto divertente, sull’onda dell’euforia alcolica o semplicemente fiestera che ha coinvolto la maggioranza dei colleghi. Quest’anno peró é stato anche meglio … pochi minuti dopo essere partiti l’autista ha messo su rancheras: potremmo defirnirlo il country centroamericano, la musica piú popolare in particolare nelle zone rurali …

Praticamente da quel momento é stato un solo coro di tutto il bus, durato la quasi ora per rientrare a Matagalpa, con i colleghi piú appassionati del genere e/o piú presi dall’onda alcolica a esprimere con ampi gesti del corpo il totale coinvolgimento nei testi delle canzoni.

Canzoni che parlano di amori disperati e tradimenti, di narcotraffico e vendette, di vita da briganti e saloon. Essenza di una societá rurale d’altri tempi cosí viva ancora a queste latitudini, romantica, appassionata, e un po’, anzi abbastanza, machista.

Peró la ranchera va capita, ha un senso malinconico o guascone que prevale su tutto il resto. É retorica. Talmente latinoamericanamente retorica che non puoi non affezionarti a questo sentimento di fondo cosí ingenuo.

E comunque le mie riserve “politiche” sulla ranchera le ho sciolte quanto ho sentito la canzone di Vicente Fernandez (il maggior esponente del genere) dal titolo “la mia filosofia”:

i miei amici mi dicono ma perché continui a metter via soldi, tanto prima o poi la vita finisce … é che ho la mia filosofia: che nella vita sempre si deve risparmiare per non ritrovarsi a mendicare, ed é che voglio che quando io muoia, e mia moglie voglia godersi la vita, lo faccia per piacere … e non per necessitá

… questo, detto da un pistolero, non é niente male …

… e mentre il bus correva in una dimensione parallela del tempo, e il vento entrava come un miracolo dai finistrini, guardavo i miei colleghi, fra abbracci, urla di approvazione e interpretazioni appassionate, e con quella classica commozione che a volte l’alcool ti da, mi sono trovato a pensare “vi amo bastardi! … mi mancherete!”.

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Il numero di dicembre della rivista di Inter-Agire, Cartabianca, é dedicato alla Felicitá. Quando a suo tempo si chiese a noi volontari di dare la nostra personale definizione del concetto, immediatamente pensai che non avrei risposto alla sollecitazione: come spiego nell’articolo non é un tema che mi affascini particolarmente. Poi, casualmente, un dettaglio mi dette lo spunto per questa breve riflessione in merito.

Ah, giá che ci siamo: Buon Natale e … FELICE Anno Nuovo …

Che cos’è la felicità? Io non funziono in termini di felicità. Non mi è mai interessata la questione. Essere felice: che significa? Mi è sembrato sempre un mito prefabbricato, come quello del principe azzurro per le donne o del sogno americano. Non per niente l’altro giorno su una borsa di tela ho letto uno dei tanti slogan di successo della Coca-Cola: “il sapore della felicità”…
A Matagalpa, l’approvvigionamento di acqua era estremamente problematico fino a pochi anni fa, poi un progetto della cooperazione tedesca portò l’acqua potabile a tutta la città. Nonostante il miglioramento sostanziale a volte succede che il servizio si interrompa, per pochi minuti o per qualche ora. Nella mia esperienza di tre anni di vita matagalpina ho avuto tre case: nella prima nessun problema, era provvista di un serbatoio in cui si accumulava acqua per le necessità di almeno due giorni, se c’erano problemi nell’erogazione nemmeno me ne accorgevo. La seconda casa non aveva serbatoio. E quindi me ne accorgevo. In ogni caso il problema si presentava sporadicamente. Da circa un mese ho cambiato nuovamente sistemazione finendo in una zona dove l’acqua “va via” spesso. Ovviamente nei momenti meno opportuni. Come ieri sera. Tornato da un corso a un gruppo di produttori, necessitavo assolutamente di una bella doccia per lavar via l’appiccicaticcio e la stanchezza di una giornata a proporre con necessario entusiasmo concetti basici di contabilitá a persone semi-analfabete.
Erano vari giorni che l’acqua non mancava, mi sono avvicinato al rubinetto del bagno fiducioso ma… nada… nada de nada … Imprecazione di rito. Mi butto sul letto esausto sperando in un miracolo mattutino. Ore cinque e mezza. Oggi è qualche santo particolare o cade qualche celebrazione e ovviamente si deve manifestare in città con botti alle cinque del mattino e clacson delle auto a tutto spiano… Vabbè, mi tocca svegliarmi. Magari è tornata l’acqua. Mi alzo, giro la manopola… Nada!… Nisba!… Niet! La mattina prima mi ero dimenticato di riempire un secchio e così ho soltanto un po’ d’acqua da una piccola bacinella. “Ni modo”, faremo, come descrive efficacemente una collega, solo “ali e motore”. Sono ormai le sei. È iniziata davvero bene la giornata! Oggi mi aspetta un altro corso di ugual intensità e non mi sarebbe dispiaciuto arrivarci in condizioni decenti. Però, che ci vuoi fare? Per istinto o con un movimento sbadato, metto di nuovo mano al rubinetto. Assieme all’acqua che sale dal tubo ed esce scoppiettando, sgorga in mezzo al petto un’emozione. Felicità.

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Lo ammetto, o un po’ di blocco del blogger … ultimamente vedo meno spunti o sará che mi sono assuefatto troppo al Nicaragua, non c’é piú niente che mi stupisce? Forse sono talmente integrato che piuttosto dovrete aspettare il ritorno in Svizzera perché torni a sorprendermi di quel che mi circonda, col mio nuovo punto di vista nica.
Una delle cose che mi piace di quest’esperienza di volontario é la catena fatta di chi é giá partito, chi deve partire, e di chi partirá … ognuna di queste condizioni ha il suo carico di emozioni e … si sa se impariamo qualcosa collegandola ad un’emozione non la scordiamo piú.
Cosí i legami con la maggioranza di quelli con cui ho avuto la fortuna di condividere questo pezzetto di catena che stiamo costruendo … Inter-Agire ha 42 anni, a furia di aggiungere anelli ce la faremo a stendere sto ponte sull’Atlantico …
Infatti giá é tempo di dar spazio ad altre esperienze, altre capacitá, altri stupori.
L’altro giorno, Maria Teresa Hausmann, una nuova volontaria di Inter-Agire che verrá in Nicaragua in marzo per un progetto di microcredito con un’associazione di Managua, mi ha scritto per farmi qualche domanda sulla mia esperienza.
Rileggendo la mia risposta ispirata, credo per quest’immedesimazione automatica in una situazione che conosco bene, ho pensato che alcune cose sarebbero interessanti per tutti.
Per tutti voi potenziali volontari che solo dovete sciogliere questi piccoli dubbi e … partire.

Iniziamo dalla metodologia … io non ho preparazioni specifiche per quanto riguarda la pedagogia, e nemmeno nella preparazione di Inter-Agire si va oltre un’infarinatura generale, quindi direi che la metodologia é il buon senso. Inizialmente piú ascoltare che parlare, cercare di capire bene il contesto, “empaparse” come dicono qua, cioé bagnarsi, sporcarsi, inzaccherarsi, inzupparsi. E poi un po’ alla volta apportare, condividere i punti di vista che scaturiscono dalla nostra formazione (inevitabilmente, in media, superiore perché qui i livelli scolastici sono bassi) e dalle nostre esperienze lavorative (normalmente di maggior spessore perché i livelli di precisione, competenza e competitivitá a cui siamo abituati purtroppo, e a volte per fortuna, non si incontrano molto).

La metodologia é lavorare con la gente. Riprendendo la filosofia di ADDAC del Hacer, Hacer con, Dejar hacer. Fare, fare insieme, lasciar fare. Li sí é necessario fare uno sforzo per produrre capacitá … tante volte per fare una cosa é ovvio che se la facessimo noi ci vorrebbero cinque minuti mentre la persona che sta imparando ci mette mezz’ora … ma bisogna ricordare qual é il nostro obiettivo, cioé che chi sta imparando la sappia fare non che sia fatta nel minor tempo possibile: sennó facciamo tutto noi … ma quando andiamo via non rimane niente.

Sull’operativitá o meno dei corsi o degli approcci, sull’adattabilitá o meno alla realtá nicaraguense io penso che l’importante é aver chiari i concetti. Una volta che si ha chiaro il concetto questo si applica a tutte le realtá. Se sto prestando a una multinazionale o a un piccolo produttore agricolo alla fine ho bisogno di sapere le stesse cose: che ci fará con il prestito che gli do? sará in grado di generare sufficiente reddito per ripargare il credito e gli interessi? con che garanzie copro il credito? quali sono i rischi? Lo stesso vale per il business plan, che sia una azienda di nuove tecnologie o un piccolo macello di maiali alla fine devo sempre valutare le stesse cose: quale sará il mio mercato? a chi vendo? a che prezzo? chi sono i miei concorrenti? come mi finanzio? eccetera ..

Per quanto riguarda la tua esperienza … nemmeno io sono / ero un esperto di credito o microcredito, ho lavorato prima come revisore dei conti e poi come controller, ma come ti dico tra formazione, esperienza, buon senso, il nostro apporto ha senso, trova il suo percorso. Bisogna essere flessibili, come un liquido que va a coprire i vuoti. E i vuoti non mancano certo … E poi siamo anche qua per imparare, quindi ció che non sai lo imparerai cammin facendo.

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